Leonida Repaci è stato uno dei più vivaci e controversi intellettuali italiani del Novecento, noto per la sua penna pungente, la sua passione politica e il suo impegno sociale. Nato a Palmi, in Calabria, il 5 aprile 1898 e scomparso a Marina di Pietrasanta (una frazione del comune di Pietrasanta, nella riviera della Versilia, in provincia di Lucca) il 19 luglio 1985, Repaci ha attraversato una vita di polemiche e di attivismo, consacrando la propria opera alla denuncia delle ingiustizie e alla lotta contro le contraddizioni del potere, specialmente in difesa del Sud Italia e delle sue difficoltà. Nel 1929, insieme a Carlo Salsa e Alberto Colantuoni, fondò il Premio Viareggio, del quale fu presidente fino alla morte.
La Formazione e il Legame con la Calabria
Ultimo di dieci figli e presto orfano del padre, trascorse un’umile infanzia nella sua città fino al catastrofico sisma del 28 dicembre 1908 che devastò Messina, Reggio e le zone limitrofe. Repaci ha visto fin da giovane, quindi, i disagi e le lotte della sua terra natale, un’esperienza che ha influenzato profondamente il suo pensiero e la sua produzione letteraria. Trasferitosi a Torino per studiare giurisprudenza, dove il fratello Francesco esercitava l’avvocatura. fu costretto ad interrompere gli studi perché venne arruolato e mandato al fronte. Dalla carriera militare ottenne, dopo il ferimento a Malga Pez, una medaglia d’argento insieme al congedo illimitato.
Tornato a Palmi scrisse il poemetto La Raffica, dal titolo iniziale “Il ribelle e l’Antigone”, ispirato alla morte di Anita, Nèoro e Mariano (tre dei nove fratelli) a causa dell’epidemia di influenza spagnola .
Nel 1919 ritornò a Torino dove conseguì la laurea e dove l’anno seguente prese l’abilitazione all’avvocatura, incominciando a frequentare ambienti e personaggi politici di sinistra. ambienti intellettuali e politici della città, trovandosi presto coinvolto nel fervente dibattito culturale degli anni ’20 e ’30. Le sue idee socialiste e il suo spirito ribelle lo portarono a farsi notare tra i giovani intellettuali di sinistra, fino a diventare uno dei principali esponenti della critica sociale e letteraria del Novecento.
Durante l’occupazione delle fabbriche, Antonio Gramsci in persona, che aveva recensito un suo libro ne l’Avanti! torinese, lo chiamò a collaborare a L’Ordine Nuovo, rivista fondata dallo stesso Gramsci, da Angelo Tasca, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini con articoli molto critici verso i prodromi della nascente dittatura fascista, che vennero pubblicati accanto a quelli di Gobetti, Lenin, Trotsky, Thomas Mann e altri famosi letterati dell’epoca.
Rèpaci, dopo la marcia su Roma, lasciò Torino per Milano, senza interrompere la collaborazione con L’Ordine nuovo, firmandosi con lo pseudonimo di Gamelin, il protagonista del romanzo Gli dei hanno sete di Anatole France. A Milano, Repaci ebbe affidata da Gramsci la responsabilità delle critiche teatrali e musicali sulla terza pagina de l’Unità, che curò a partire dal primo numero del giornale uscito il 12 aprile 1924 e fino al mese di giugno del 1925.
La sua intransigenza ideologica, supportata da un carattere ribelle e bellicoso, lo porterà ad assumere la difesa di Federico Ustori, uno degli imputati dell’attentato al teatro Diana, poi assolto, ponendosi in modo esplicito contro il regime.
Tra il 1922 e il 1924 si misurò in duello, addirittura, contro Galeazzo Ciano e padrino nel duello contro Farinacci.
Scrittore e Critico Sociale
La produzione di Repaci si articola tra narrativa, poesia, saggistica e giornalismo, ambiti che egli utilizzò per esprimere con forza le proprie convinzioni politiche e sociali.
Nel 1923 pubblicò il primo lavoro letterario, L’ultimo Cireneo, che gli fece ottenere un grande successo, tanto da indurlo ad abbandonare la professione di avvocato per dedicarsi alla scrittura.
Nel 1924 il Partito Comunista d’Italia, per le elezioni politiche di quell’anno, presentò la candidatura di Leonida insieme a quella di Francesco Buffoni, senza che gli stessi venissero eletti, dato che non ebbero la preferenza dell’Esecutivo che andò a Luigi Repossi e Bruno Fortichiari.
Nell’agosto 1925 Rèpaci venne arrestato a Palmi, insieme ad altri comunisti e socialisti, come presunto assassino di Rocco Gerocarni, gerarca fascista del luogo, durante la festa religiosa della Varia; il processo servì al regime per scardinare la roccaforte rossa e abbattere uno degli scogli socialisti più forti in Calabria.
Rèpaci venne assolto dopo sette mesi di carcere, per insufficienza di prove, nel processo che si tenne in Corte di Assise a Catanzaro, durante il quale alcuni testimoni falsi confessarono, nel mentre altri si suicidarono, portando all’assoluzione, oltre Leonida, i fratelli Francesco, Gaetano, Giuseppe e i cognati Mancuso e Parisi.
Qualche settimana dopo la sua liberazione si dimise dal PCd’I convinto che la lotta politica fosse divenuta impossibile e che i risultati non fossero proporzionati ai sacrifici. Tuttavia continuò la sua battaglia politica scrivendo libri in difesa delle idee socialiste e comuniste.
Nel 1925 portò in teatro il racconto La madre incatenata, riflessione molto vicina alla persecuzione politica che visse insieme alla sua famiglia nell’estate dello stesso anno.
Nel 1933 iniziò La storia dei Rupe che gli farà vincere il Premio Bagutta che, tra varie versioni, lo accompagnerà fino agli anni settanta.
Dopo aver lavorato alla redazione de l’Unità, collaborò poi alla Gazzetta del Popolo e con La Stampa.
Nel 1929, da una sua idea, con il contributo di Salsa e Colantuoni, nasce a Milano il Premio Viareggio nei cui giorni, immerso nel grande fervore organizzativo, sposò Albertina Antonelli, conosciuta a Milano nel 1925 e che gli fu vicina, con un fitto scambio epistolare, durante la carcerazione.
Il 9 settembre 1943, assieme a tre amici (Pacini, Tosi, e Bernini) portandosi dietro una folla di popolani, assaltò un deposito d’armi a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, episodio che diede il via alla Resistenza romana.
Più tardi fu messo in contatto con il movimento militare del Partito Socialista e successivamente entrò nel Comitato politico che riuniva allora l’ala intransigente del partito. Costituì il movimento delle bande partigiane, del cui comando fece parte assieme ai fratelli Andreoni, Alberto Vecchietti, Ezio Malatesta e Aladino Govoni.
Finita la seconda guerra mondiale, Repaci, spinto dal suo spiccato senso organizzativo, fondò con Renato Angiolillo il quotidiano indipendente Il Tempo rimanendone condirettore dal giugno al dicembre 1944.
Nel febbraio 1945, rotto il sodalizio con Angiolillo, fondò un nuovo quotidiano, L’Epoca, che però visse soltanto 14 mesi. Successivamente accettò la direzione dell’Umanità, quotidiano socialista democratico, insieme a Giuseppe Faravelli e Virgilio Dagnino. Organizzò, infine, con Mario Socrate e Franco Antonicelli il memorabile convegno di intellettuali Cultura e Resistenza, a Venezia, nel 1950.
Il dopoguerra, col ripristino del Premio Viareggio, per Rèpaci fu un susseguirsi frenetico di proposte e idee che lo fecero maturare positivamente sia intellettualmente sia a livello umano che sociale; fondò e presiedette il Premio Fila delle Tre Arti, e il Premio Sila (1948).
Nel 1948 dietro insistenza di alcuni amici decise di candidarsi, senza poi venire eletto, al collegio senatoriale di Palmi nella lista del Fronte Democratico Popolare. Nel 1950 divenne componente del Consiglio mondiale per la pace insieme ad altri intellettuali comunisti come Pablo Picasso, Louis Aragon, Bertolt Brecht, Jorge Amado, György Lukács, Renato Guttuso e Jean-Paul Sartre e nel 1951 membro della Giuria Internazionale per i Premi della Pace. Collaborò in seguito anche a Milano Sera, a Vie nuove e a Paese Sera.
A metà degli anni ’50 venne chiamato da Orazio Barbieri, che in quel momento ricopriva la carica di Segretario Generale dell’Associazione dei rapporti culturali con l’Unione Sovietica “Italia-Urss” presieduta dal senatore Antonio Banfi, a dirigere il mensile “Realtà sovietica” organo ufficiale dell’Associazione.
Successivamente collaborò con “Milano sera” , “Vie Nuove” e con “Paese sera”. Nel Pioniere del 1960 n° 27 e del 1961 n°6 furono pubblicati due suoi racconti: Terribile Golfo e Martino e Giorgina.
Nel 1956 vinse il Premio Crotone con Un riccone torna alla terra e due anni dopo il Premio Villa San Giovanni con la Storia dei fratelli Rupe. A poco a poco si allontanò dall’attività giornalistica per dedicarsi alla stesura definitiva della trilogia Storia dei Rupe, e il secondo volume, Tra guerra e rivoluzione, vinse nel 1970 il Premio Sila. In quel periodo la sua naturale irrequietezza lo portò a darsi alla pittura, con discreto successo sia di critica che di pubblico, allestendo personali a Milano e a Roma.
Morì il 19 Luglio 1985 a Marina di Pietrasanta; la sua villa “Villa Pietrosa” di Palmi, ristrutturata, doveva diventare secondo la sua volontà un centro d’arte e cultura, soprattutto per gli artisti e i giovani. Trascurata e vandalizzata oggi è in completo stato di abbandono come la sovrastante grotta carsica dove il suo desiderio ultimo non esaudito era di essere seppellito insieme alla cara Albertina. Eppure al Paese natio, oltre al complesso di Villa Pietrosa, Repaci ha lasciato una ricca pinacoteca e tutti i suoi averi custoditi alla Casa della Cultura di Palmi che l’allora ministro dei Lavori Pubblici Mancini volle donargli come regalo di compleanno nel 1968.
Leonida Repaci anche se la sua figura rimane controversa, ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura e nel pensiero politico italiano.
Questo post ha voluto offrire solo una panoramica della vita e delle opere del calabrese Leonida Repaci.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Leonida_Repaci