Muhammad Ali, il poeta. “Me, We” (“Io, Noi”) e altro

Muhammad Ali,  tra i più grandi pugili di tutti i tempi, la sua conversione all’Islam (con idee, in questo campo religioso, anche riviste), il labbro di Louisvillesoprannominato anche in questo modo per la sua loquacità con la quale destabilizzava, ancor prima dei match, i suoi avversari psicologicamente, colui che nel 1967, tre anni dopo la conquista del campionato mondiale, si rifiutò di combattere nella Guerra del Vietnam per via della sua religione e della sua opposizione al conflitto e per questo, fu arrestato e accusato di renitenza alla leva, oltre a essere privato del titolo iridato, chiamato anche il The Greatest” (Il più grande), insomma un personaggio indimenticabile della nostra storia sportiva e non, era anche un poeta. 

Ricordo perfettamente quando, tanti anni fa, vidi in videocassetta il film documentario Quando eravamo re (When We Were Kings) a lui dedicato e non posso dimenticare l’episodio che narrò il giornalista americano George Plimpton.

Nell’aprile del 1975, Muhammad Alì fu invitato ad una cerimonia di laurea all’Università di Harvard (come racconta dettagliatamente Plimpton in questo video tratto dal documentario sopra citato)  di fronte a duemila laureati.

Alla fine del suo discorso e dopo un boato di ovazioni, qualcuno urlò: “Recita una poesia”. 

Alì rispose con quella che è considerata (anche se non è da tutti conosciuta, ndr) con la poesia più breve del mondo: “Me, We” ovvero “Io, noi”.

Ma non è tanto la brevità a colpire chi legge oppure chi ha ascoltato queste due parole ma il loro significato che dimostrano, ancora una volta, lo spessore umano del personaggio.

 

Muhammad Ali, il poeta. “Me, We” (“Io, Noi”) e altro

Ma non solo.

Durante un’intervista, Alì recitò una sua poesia (a ritmo di rap, potremmo dire oggi) dal titolo Freedom – better now ( Libertà – Meglio adesso) dedicata alla Rivolta della prigione di Attica nello stato di New York, il 9 settembre del 1971. Qui potete vedere questo bellissimo video che contiene l’intervista citata. 

E a cura di Francesco Masala, questa è la traduzione del poema

«La libertà adesso.
Meglio di tutto, da quel che vedo è morire combattendo per la libertà in cui credo, una fine migliore io non la prevedo.
Meglio che farlo stando in un letto e in salute malconcia sentirmi protetto mentre la morte mi fa il suo lavoretto.
Meglio che dire preghiere addolorate deteriorando in una malattia dalle grinfie accigliate per andarmene via pagando le rate.
Meglio che un attacco di cuore o dipendere da una droga per sentirsi vero, lasciatemi morire da nero.
Meglio assai che fare il contrario è stare qui e combattere un avversario, è il modo migliore per abbassare il sipario.
Meglio che lasciare sangue coagulato su di un’ autostrada anonima abbandonato, da pezzi di vetro e di ferro lacerato
Meglio invitare la morteche vivere altre vite smorte e fare del ghetto la solita sorte.
Meglio che stare in prigione riposto ad altro destino voglio esser sottoposto, assassinatemi sul posto.
Meglio la lotta che rafforza e adesso mentre il mio sangue ancora non smorza lasciare che si rinnovi in me l’ antica forza.
Meglio morire di una morte violenta che dar retta a quanto lo Zio Sam inventa, che vivere una bugia per un pizzico di pace spenta.
Meglio sapermi fedele al mio vero morire esigendo che le cose sian per davvero perchè morendo giovane io mi avvero.
Meglio farlo adesso che di rimessa, che vivere una vita dalla paura della morte oppressa – la prossima alba non mi interessa.»
Allora: “ME, WE”!

MOSTRA MENO

 

 

 

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