Più CEO che Chan: l’abate del Tempio Shaolin -Shi Yongxin – tra denaro e scandali.

Nella foto, Shi Yongxin – abate del Tempio Shaolin. – indagato per varie e gravi condotte illecite.

No, non glielo posso perdonare a Shi Yongxin.
Non posso perdonare a colui che porta il titolo di abate del Tempio Shaolin – situato nell’attuale Henan, culla del Buddismo Chan e dello Shaolinquan – di aver contribuito, con le sue azioni, a intaccare l’immagine millenaria di un luogo che, per intere generazioni, ha rappresentato molto più di un semplice complesso monastico.

Parliamo di un tempio che non solo ha dato i natali alla leggenda del kung fu, ma che ha anche alimentato le fantasie collettive dell’Occidente. Ricordate I Giganti del Karate (titolo italiano dell’originale Shaolin Temple, 1976)? Il giovane Alexander Fu, inginocchiato sotto la pioggia, sperava con umiltà di essere ammesso alla disciplina dei monaci guerrieri. Era una scena che, da sola, valeva l’intera mitologia Shaolin.

Alexander Fu Sheng – al centro dell’immagine – nel film “I giganti del karate”.

E come dimenticare David Carradine nella serie cult Kung Fu, mentre nei panni di Kwai Chang Caine dialogava con il Maestro Po, fra metafore zen e cigolii da vecchio wuguan. 

David Carradine durante una scena della serie televisiva “Kung Fu” con l’attore Keye Luke nei panni del monaco/maestro Po.

Tutto questo – immagini, miti, suggestioni – rischia oggi di sgretolarsi sotto il peso di uno scandalo tutt’altro che mistico. L’abate Shi Yongxin è stato sospeso su ordine di Xi Jinping (con l’approvazione dell’Associazione Buddista Cinese), perché accusato di appropriazione indebita, gravi violazioni della condotta monastica, relazioni con donne, e – ciliegina sulla torta – di essere padre di un figlio illegittimo.

D’altra parte, in uno scandalo che si rispetti, il sesso non può mancare.

Soprannominato il monaco CEO, Shi Yongxin aveva già sollevato critiche per aver trasformato il Tempio Shaolin in una vera e propria macchina da business: tour internazionali a pagamento con monaci acrobati, merchandising e altro.

Per dovere di cronaca, va ricordato che accuse simili gli erano state mosse anche nel 2015, e che due anni dopo fu scagionato. Ma il copione oggi sembra ripetersi, e la fiducia dei fedeli e degli appassionati vacilla.

Il rischio è quello di assistere alla mutazione del tempio da luogo sacro a piattaforma di intrattenimento orientale. Più Netflix che Nirvana.

In attesa degli sviluppi, mi resta un’amara constatazione. Se un tempo si diceva: “Quando il discepolo è pronto, il maestro appare”, oggi pare più appropriato dire: “Quando il mercato è maturo, l’abate incorpora!”

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